COME DIFENDERSI DALLE DIFFAMAZIONI ONLINE

COME DIFENDERSI DALLE DIFFAMAZIONI ONLINE

Come difendersi dalle diffamazioni online:

La tua attività è stata screditata pubblicamente su un sito internet? Se sei stanco della cattiva pubblicità, degli insulti provenienti da perfetti sconosciuti dopo anni di duro lavoro per costruire la reputazione della tua impresa, puoi rivolgerti a noi.

Gli internet service provider sono intermediari di servizi informatici che si occupano di caricare le informazioni sul web, e all’interno dell’ organizzazione del servizio coesistono varie figure, tra cui gli hosting service provider: il loro regime di responsabilità in ordine ai contenuti pubblicati risulta ancora poco chiaro, ma in questo breve articolo cercheremo di approfondire la questione.

Abbiamo già trattato delle insidie che si possono celare sulla rete e sui social network (leggi il nostro articolo sul cyberbullismo), ma oggi parleremo di una ulteriore sfida che ci propone la tecnologia: come reagire alle diffamazioni a mezzo internet e quali strumenti ci fornisce la legge italiana.

In questi casi è possibile attivare un procedimento d’urgenza, che serve ad ovviare a situazioni di pericolo imminente, il quale può portare all’emanazione di un provvedimento d’urgenza utile a far cessare le molestie e il comportamento illecito.

I contenuti denigratori, pubblicati su piattaforme online o social network, possono minare la reputazione di un buon imprenditore e per questo, anche per via di un nuovo orientamento emerso in giurisprudenza[1], è stato chiarito il regime di responsabilità dell’hosting provider e l’obbligo per lo stesso di rimozione di contenuti diffamatori.

Ma chi è l’hosting provider? L’host, letteralmente “colui che ospita” è un servizio di rete, offerto da una azienda, che permette di ospitare un sito web su un server permettendo ai visitatori online di accedervi: il web host (o hosting provider) è colui che garantisce un servizio di hosting efficiente. Ad esempio, si occupa di fornire al sito la tecnologia necessaria per farlo funzionare bene, oppure protegge dagli attacchi degli hacker sorvegliando i server del sito h24.

Si distinguono due tipi di hosting provider, identificati come attivi o passivi, a seconda del ruolo più o meno neutrale che assumono nella prestazione del servizio di memorizzazione di informazioni online fornite dagli utenti. 

Gli hosting provider:

passivi vanno esenti da responsabilità in caso di pubblicazione di contenuti illeciti, infatti, per sviluppare la tecnologia e  la libertà di informazione, dalla normativa non è stato previsto uno specifico dovere di sorveglianza dell’host, anche per il numero potenzialmente infinito dei contenuti da controllare.

attivi, invece, avrebbero il compito di sorvegliare attivamente i contenuti ospitati potendo monitorarli e riorganizzarli. Per questi motivi, all’hosting attivo non è concessa l’esenzione di responsabilità per contenuti pubblicati on line, e l’autorità giudicante può anche ordinargli di rimuovere i contenuti diffamatori.

Tuttavia, rimane insoluto un problema di fondo: se la disciplina di settore non prevede un obbligo di vigilanza preventivo e continuativo sui contenuti messi online dagli utenti, né vi è alcuna norma che preveda specificamente la figura dell’hosting provider attivo,  come si fa ad obbligarlo a controllare e eliminare i contenuti illeciti?

Sarebbe quindi auspicabile formulare una interpretazione della normativa più al passo coi tempi, che delinei i contorni della figura di un hosting provider attivo, il quale potrebbe bloccare queste attività, attribuendo così  una maggiore responsabilità anche al gestore del servizio per le molestie che avvengono sui suoi siti.

 

[1] Trib. Milano, sez. I, ord. dep. 17 giugno 2020, Trib. Milano, sez. I, ord. dep. 27 novembre 2018, Cass.civ. sez. I, 19 marzo 2019 n.7708

 

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U-MASK: PUBBLICITÀ INGANNEVOLE

U-MASK: PUBBLICITÀ INGANNEVOLE

U-Mask: quando la pubblicità ingannevole causa il ritiro dal mercato

Le mascherine dette “U-Mask”, sono diventate famose per il loro design alla moda e colorato, per essere indossate da politici e personaggi dello spettacolo, ma, in seguito a un servizio fatto nel mese di dicembre da Striscia la notizia, il brand ha perso   la credibilità di cui godeva. 

Il noto TG satirico infatti, ha alzato un vero e proprio polverone, dopo aver notato una serie di incongruenze e irregolarità nella procedura di autorizzazione alla vendita e nei test da eseguire sul prodotto per dichiararlo conforme alle normative sanitarie.

Le indagini dei Nas di Bolzano sono iniziate verso la fine di gennaio e hanno condotto al sequestro del laboratorio, sito in Trento, in cui venivano prodotte le U-Mask.

Il problema principale era la mancanza di un certificato di autorizzazione valido, perché le mascherine erano sì identificate come dispositivi medici in base a una attestazione di un laboratorio, ma si trattava di un documento firmato da un soggetto senza il possesso di una laurea.

Inoltre, affinché le mascherine siano legalmente poste in commercio, occorre che sia effettuato un test di “pulizia microbica”. Le U-mask invece sono entrate in commercio a Marzo 2020, sebbene tale tipologia di test sia stato effettuato solamente nel mese di giugno, a posteriori rispetto il momento di messa in commercio.

In proposito, la risposta della amministratrice della società è stata memorabile: “c’era troppa coda per effettuarli”. Quindi, tanto meglio mettere subito le mascherine in vendita, ponendo a repentaglio la salute dei consumatori.

Sul sito ufficiale della società poi, le U-Mask erano pubblicizzate come dispositivi medici paragonabili alle mascherine FFP2 e FFP3, anche se non esisteva alcuna autorizzazione che lo attestasse, e ne era esagerata indebitamente l’efficacia. La mascherina infatti, veniva classificata come dispositivo IIR (dispositivo medico) ma non era stato fatto un adeguato controllo valutativo in merito.

Anche l’autorità garante per la concorrenza e il mercato è intervenuta a seguito delle scorrettezze perpetrate, dato che venivano pubblicizzati dei dispositivi che non avevano alcuna dichiarazione di conformità.

Dato anche il costo, non irrisorio delle U-Mask (33,60 € il prezzo base), i consumatori risultano ingannati dalle dichiarazioni del produttore che ha invece enfatizzato le caratteristiche innovative della mascherina, dando la percezione che si trattasse di un prodotto con qualità superiori rispetto alla media.

Di recente, è stata bandita la vendita anche del nuovo modello di mascherina, la U-Mask 2.1, che secondo i test eseguiti in laboratorio possiede un buon livello di filtrazione ma non ha superato il test della respirabilità.

Il caso U-Mask resta ancora aperto, sebbene siano stati migliorati i controlli di qualità e relative attestazioni mediche, agli occhi dei consumatori il brand ha perso la credibilità di cui godeva prima a seguito di tanta pubblicità negativa.

Così è stato spiegato il via al “procedimento istruttorio” nei confronti delle società U-Earth Biotech Ltd. e Pure Air Zone Italy S.r.l., che producono quella che sul loro sito viene definita “la prima mascherina biotech, riutilizzabile fino a 200 ore di utilizzo effettivo” e che, in un primo momento, prometteva protezioni paragonabili a dispositivi FFP2 e FFP3

Così è stato spiegato il via al “procedimento istruttorio” nei confronti delle società U-Earth Biotech Ltd. e Pure Air Zone Italy S.r.l., che producono quella che sul loro sito viene definita “la prima mascherina biotech, riutilizzabile fino a 200 ore di utilizzo effettivo” e che, in un primo momento, prometteva protezioni paragona

 

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CYBERBULLISMO: COME REAGIRE

CYBERBULLISMO: COME REAGIRE

Cyberbullismo: come reagire 

Tu, un tuo familiare o un tuo amico siete stati vittime di cyberbullismo? In tal caso, non esitare a contattarci. Sappi che non sei solo e sono previsti degli appositi strumenti giuridici volti a contrastare questo subdolo fenomeno.

Il cyberbullismo è una vera e propria violenza psicologica, che può avere varie manifestazioni e può causare problemi di ansia, insonnia, patologie depressive, isolamento sociale, fino, nei casi più estremi, integrare l’ipotesi delittuosa di istigazione al suicidio.

La differenza, rispetto al bullismo, è la portata ancora più capillare del fenomeno, dato che a mezzo della rete internet e dei social network, la vittima si trova esposta a una platea ancora più grande di bulli, che non rientrano nella stretta cerchia scolastica. Inoltre, le minacce e le offese dei cyber-persecutori non incontrano limiti di tempo, poiché possono essere effettuate a tutte le ore, e raggiungere molte persone in un istante.

Il problema è che tale fenomeno si manifesta per lo più tra i minori, e per questo molti sono scoraggiati dall’intraprendere un’ azione legale, data la normale non punibilità di questi ultimi. Oppure, chi diffonde i materiali infamanti tramite internet risulta difficile da rintracciare, lasciando così i cyberbulli impuniti.

Grazie all’intervento legislativo, previsto dalla legge n. 71/2017, è stata predisposta una apposita definizione di cyberbullismo e sono stati individuati i comportamenti tipici con cui vengono posti in essere tali abusi.

Ad esempio, si parla di outing and trikery (trarre in inganno, letteralmente) quando la vittima viene danneggiata tramite la pubblicazione su chat, social network, o in rete, di immagini che la ritraggono nuda o in situazioni di intimità, senza il suo consenso.

Oppure, possono verificarsi ipotesi di impersonation, quando il cyberbullo si appropria della identità della vittima, entrando nel suo account social o in alcuni servizi online, per pubblicare una serie di contenuti inopportuni o inviando messaggi, con lo scopo di ridicolizzarla. 

Inoltre, si possono manifestare anche ipotesi di denigration, tramite la diffusione su internet di notizie, foto, o video offensivi per screditare la vittima, oppure casi di cybershaming ( come la ripresa e la pubblicazione di una aggressione) e harassment (molestie tramite internet che possono giungere fino alla minaccia di lesioni gravi o, addirittura, di morte).

I comportamenti appena elencati integrano diverse figure di reato e possono dare luogo, se la persona offesa intende perseguirli in giudizio, ad una azione penale.

Le tutela in sede civilistica, invece, può seguire o al vittorioso esperimento dell’azione penale, oppure può essere intentata indipendentemente. I reati possono essere resi noti all’autorità pubblica tramite querela o denuncia della persona offesa, e nei casi più gravi, può intervenire un ammonimento del questore.

I rimedi riconosciuti per contrastare il fenomeno del cyberbullismo sono molteplici. Il rimedio tipico è il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, ai sensi degli articoli 2043 e 2059 c.c. La vittima, infatti, può ottenere soddisfazione, tramite la corresponsione di una somma di danaro, per i danni ingiusti patiti sulla sua persona e sulle sue cose in occasione dell’evento dannoso.

La legge italiana inoltre, prevede la possibilità di punire il cyberbullo anche se minorenne, infatti per essere considerati colpevoli di tali reati è sufficiente la capacità di intendere e di volere (14 anni), e non la capacità di agire (18 anni).

I genitori sono chiamati a rispondere patrimonialmente dei danni causati dal minore e, ultimamente, è stata riconosciuta in giurisprudenza una apposita ipotesi di responsabilità, la cd. “culpa in educando e vigilando”. I genitori infatti, in qualità di soggetti tenuti alla vigilanza ed alla cura della educazione dei propri figli potrebbero essere ritenuti responsabili per la loro negligenza, comportando in capo a loro uno specifico dovere risarcitorio. 

Inoltre, gli interessati possono chiedere l’oscuramento, il blocco o la rimozione dei contenuti illeciti al gestore del sito, e, qualora entro 48 ore non si provveda alla loro eliminazione, è possibile rivolgersi al Garante per la protezione dei dati personali o alla polizia postale.

Questi elencati sono i rimedi esperibili in sede civile, e, nel caso ritenessi di essere stato vittima di una delle situazioni illustrate sopra, puoi rivolgerti al nostro team di esperti che ti sapranno fornire la loro assistenza per il risarcimento dei danni da reato.

 

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DIFFAMAZIONE AGGRAVATA E SOCIAL NETWORKS

DIFFAMAZIONE AGGRAVATA E SOCIAL NETWORKS

Hai ricevuto un’offesa tramite i social networks? Potrebbe trattarsi di diffamazione aggravata.

Ricorre il reato di diffamazione quando si offende la reputazione altrui, comunicando con più persone. Il reato è aggravato se l’offesa viene arrecata per mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità. Arrecare un’offesa su una pagina Facebook costituisce diffamazione aggravata. Se nel profilo ci sono almeno due amici che possono leggere il post, vi è reato. Lo stesso si può dire per quanto riguarda messaggi inviati in gruppi chiusi, se il post è visibile ad almeno due persone. Stesso discorso per i forum o altre piattaforme social.

Alcuni esempi di diffamazione aggravata sono: la donna che sul proprio profilo Facebook deride l’ex marito risponde del reato di diffamazione aggravata. Lo stesso vale per l’uomo che definisce pubblicamente la propria ex moglie come “mantenuta”. L’autore di un post su Facebook in cui un’altra persona viene definita come “imbroglione” risponde di diffamazione aggravata.

Quali sono in concreto le pene e le sanzioni per questo tipo di reato? E’ prevista la pena della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore ad € 516,00. Tali comportamenti possono dar luogo ad un’azione risarcitoria in ambito civile. La persona offesa può costituirsi parte civile nel processo penale o iniziare una causa civile, dimostrando di aver subito un danno alla propria reputazione o all’immagine.

Nel caso di offese ricevute su un social network è possibile sporgere querela entro tre mesi dal fatto ed occorre individuare il post offensivo e l’autore dello stesso.

 

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