U-Mask: quando la pubblicità ingannevole causa il ritiro dal mercato
Le mascherine dette “U-Mask”, sono diventate famose per il loro design alla moda e colorato, per essere indossate da politici e personaggi dello spettacolo, ma, in seguito a un servizio fatto nel mese di dicembre da Striscia la notizia, il brand ha perso la credibilità di cui godeva.
Il noto TG satirico infatti, ha alzato un vero e proprio polverone, dopo aver notato una serie di incongruenze e irregolarità nella procedura di autorizzazione alla vendita e nei test da eseguire sul prodotto per dichiararlo conforme alle normative sanitarie.
Le indagini dei Nas di Bolzano sono iniziate verso la fine di gennaio e hanno condotto al sequestro del laboratorio, sito in Trento, in cui venivano prodotte le U-Mask.
Il problema principale era la mancanza di un certificato di autorizzazione valido, perché le mascherine erano sì identificate come dispositivi medici in base a una attestazione di un laboratorio, ma si trattava di un documento firmato da un soggetto senza il possesso di una laurea.
Inoltre, affinché le mascherine siano legalmente poste in commercio, occorre che sia effettuato un test di “pulizia microbica”. Le U-mask invece sono entrate in commercio a Marzo 2020, sebbene tale tipologia di test sia stato effettuato solamente nel mese di giugno, a posteriori rispetto il momento di messa in commercio.
In proposito, la risposta della amministratrice della società è stata memorabile: “c’era troppa coda per effettuarli”. Quindi, tanto meglio mettere subito le mascherine in vendita, ponendo a repentaglio la salute dei consumatori.
Sul sito ufficiale della società poi, le U-Mask erano pubblicizzate come dispositivi medici paragonabili alle mascherine FFP2 e FFP3, anche se non esisteva alcuna autorizzazione che lo attestasse, e ne era esagerata indebitamente l’efficacia. La mascherina infatti, veniva classificata come dispositivo IIR (dispositivo medico) ma non era stato fatto un adeguato controllo valutativo in merito.
Anche l’autorità garante per la concorrenza e il mercato è intervenuta a seguito delle scorrettezze perpetrate, dato che venivano pubblicizzati dei dispositivi che non avevano alcuna dichiarazione di conformità.
Dato anche il costo, non irrisorio delle U-Mask (33,60 € il prezzo base), i consumatori risultano ingannati dalle dichiarazioni del produttore che ha invece enfatizzato le caratteristiche innovative della mascherina, dando la percezione che si trattasse di un prodotto con qualità superiori rispetto alla media.
Di recente, è stata bandita la vendita anche del nuovo modello di mascherina, la U-Mask 2.1, che secondo i test eseguiti in laboratorio possiede un buon livello di filtrazione ma non ha superato il test della respirabilità.
Il caso U-Mask resta ancora aperto, sebbene siano stati migliorati i controlli di qualità e relative attestazioni mediche, agli occhi dei consumatori il brand ha perso la credibilità di cui godeva prima a seguito di tanta pubblicità negativa.
Così è stato spiegato il via al “procedimento istruttorio” nei confronti delle società U-Earth Biotech Ltd. e Pure Air Zone Italy S.r.l., che producono quella che sul loro sito viene definita “la prima mascherina biotech, riutilizzabile fino a 200 ore di utilizzo effettivo” e che, in un primo momento, prometteva protezioni paragonabili a dispositivi FFP2 e FFP3
Così è stato spiegato il via al “procedimento istruttorio” nei confronti delle società U-Earth Biotech Ltd. e Pure Air Zone Italy S.r.l., che producono quella che sul loro sito viene definita “la prima mascherina biotech, riutilizzabile fino a 200 ore di utilizzo effettivo” e che, in un primo momento, prometteva protezioni paragona
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